Solo una questione di soldi

A fine novembre è tornato di attualità il tema della “neutralità della rete” [1], dopo che la FCC (la Commissione per le comunicazioni degli USA) ha messo in cantiere un piano per smantellare una direttiva emanata nel 2015 dalla precedente amministrazione federale [2]. Ridotto ai minimi termini, esso è orientato a spianare il campo alle grandi compagnie che gestiscono le reti per vendere una Internet a velocità differenziata: una “lenta” destinata a trasportare i contenuti poco remunerativi e un’altra “veloce” per quelli dove il profitto è maggiore. Come è ovvio questo è un provvedimento che riguarderebbe in primo luogo gli USA ma è facile prevedere che, per forza di cose, i suoi effetti si sentirebbero anche da questa parte del mondo.

Una decisione del genere ha sicuramente a che fare con questioni di libertà, ma presentarla, come fanno quasi tutti coloro che si oppongono a questa proposta, addirittura, come un attentato mortale alla Rete “libera e aperta” rischia di essere fuorviante. E questo nonostante che tra i più ferventi oppositori alla “neutralità della rete” [3] ci siano le compagnie finanziarie paladine, da sempre, del libero mercato ovvero quello regolato dai più forti.

I principali contendenti in questo scontro sono in apparenza sempre gli stessi: da una parte le grosse compagnie telefoniche e dall’altra le potenti società che fanno i loro affari su Internet. In questo duello gli utenti hanno un ruolo decisamente marginale e, oltretutto, chi protesta si troverà al fianco di società multimiliardarie, di quelle che sfruttano il lavoro (non certo virtuale) per ottenere sempre maggiori guadagni. Credere che colossi come “Google” o “Amazon” abbiano davvero a cuore la libertà di comunicazione significa avere una ingenuità oltre qualsiasi limite umano.

Altrettanto sicuramente, però, una Rete a velocità differenziata sarebbe un cambiamento radicale per la comunicazione elettronica come oggi la conosciamo, soprattutto per gli americani ormai abituati a considerare la connessione a Internet alla pari del collegamento della propria abitazione al servizio elettrico o a quello dell’acqua potabile. In paesi come l’Italia, dove ancora questo non è avvenuto, le cose sono alquanto diverse. In parte gli effetti verrebbero comunque subito avvertiti anche fuori dagli USA, in quanto la maggior parte, se non la quasi totalità, delle società coinvolte sono statunitensi ma vendono in tutto il mondo.

Tra i possibili effetti di questo cambiamento ci potrebbe essere per prima cosa un rallentamento di alcuni servizi e la velocizzazione di altri. In un sistema capitalistico i fornitori di servizi, che siano la trasmissione di un film, la pubblicazione di notizie o la vendita di qualsiasi altro genere di merce, dovranno spendere più soldi per garantire l’accesso ai propri contenuti a una velocità maggiore di quella dei propri concorrenti, facendo ovviamente ricadere sui propri clienti l’aumento dei costi.

Un effetto collaterale potrebbe essere anche quello di una diversificazione nella qualità dei servizi anche senza influenza sulla loro velocità. Un po’ come la differenza che passa tra le classi di alcuni mezzi di trasporto: le persone a bordo vanno tutte alla stessa velocità ma la comodità (come il costo) della sistemazione per il viaggio è diversa.

Un terzo effetto, quello che potrebbe preoccuparci di più, è che i padroni delle linee grazie alle quali viaggiano i dati potrebbero acquisire un potere, che però in parte già hanno, che gli permetterebbe di manipolare la libertà della comunicazione, anche solo rallentando il traffico verso un determinato sito o un certo paese o quello che viene generato da una particolare applicazione.

Questo genere di modifiche, dettate quasi esclusivamente da questioni di soldi, convergono insieme ad altre verso una sorta di “ristrutturazione” della Rete. Un mezzo di comunicazione che ha rivoluzionato il mondo e che rischia di trasformarsi in un più banale canale di comunicazione, facilmente controllabile e manipolabile, strumento di dominio e di riproduzione del sistema stato-capitale. I segnali in questa direzione sono molteplici e spesso inequivocabili, non solo negli USA. Rendersi conto che da Internet non partirà mai una rivoluzione e che nessuno dei suoi strumenti, anche quelli utili, può sostituire la lotta quotidiana sarebbe già un bel passo avanti.

Pepsy
Riferimenti
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Neutralità_della_rete
[2] www.nytimes.com/2017/11/21/technology/fcc-net-neutrality.html
[3] https://www.bloomberg.com/view/articles/2017-11-21/the-end-of-net-neutrality-isn-t-the-end-of-the-world

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